Ricordi di qualche anno fa
Insegnavo psichiatria al corso di laurea in Scienze Infermieristiche. Per spiegare meglio le varie condizioni integravo le lezioni con delle simulazioni di casi reali.
Un ragazzo, non ricordo più il nome, ma era molto attento e partecipe, doveva simulare la comunicazione di una malattia ad una persona. Suscitò l’ilarità della classe perché aveva esordito dicendo che sarebbe andato a casa del paziente per prendere un caffè. “Ma comm’è, chillo è malato, sta ppe murì e tu varie a casa soia?”, “Ma si ‘u miereco o Guariglia?” E altre amenità.
Calmata la tempesta di sfottò lui disse che al suo paese il medico si comporta così. Gli chiesi di dove era: della provincia di Avellino e ne approfittai per approfondire gli aspetti relativi alla cultura delle singole popolazioni, di come il nostro approccio alle cose, non solo le malattie, dipende molto dall’aria che respiriamo dalla nascita fino allo stato attuale, di come possiamo elaborare di continuo strategie di adattamento o fermarci ad uno stadio, definibile la “zona comoda”, in cui troviamo un equilibrio che ci fa presumere di poter avere una risposta a tutto o che ci impedisce di capire perché le cose non vanno come vorremmo.